Convivere con l’incertezza: quando la paura diventa nostra alleata.

Convivere con l’incertezza: quando la paura diventa nostra alleata.

Nel mio ultimo articolo, ho accennato a come il senso di incertezza possa generare o aumentare uno stato ansioso, portando ad ulteriori complicazioni emotive.
Da qui lancio un ulteriore spunto di riflessione: come mai è così importante la sicurezza per noi esseri umani? Cosa possiamo fare per imparare a conviverci?

Le “grandi” paure dell’essere umano: quali sono e come le allontaniamo.

Da quando nasciamo, siamo portati a ricercare e ricreare coerenza attorno a noi, un’impresa paradossale e destinata a fallire, dato che il mondo è costituito prettamente da incertezza. Questo sforzo, tuttavia, ci accompagna tutta la vita; per tutta la nostra esistenza, siamo portati ad illuderci di ricondurre tutti gli eventi ed i pensieri ad una dicotomia (vero o falso, giusto o sbagliato, bianco o nero…), in modo da sottrarci dal toccare le più grandi paure che abbiamo, condizioni intrinseche alla vita stessa, che ci rendono vulnerabili, e che provocano angoscia quando risvegliate.

Queste sono riassumibili nei seguenti punti:

  • La paura della morte. Non ci è dato sapere né come né quando, ma prima o poi sia noi che i nostri cari moriremo. In modi meno estremi, è il concetto di panta rei di Eraclito, il “tutto scorre”, che sottolinea come tutto cambia e si modifica, come tutto prima o poi finisca.
  • La paura di non essere indispensabili. È quel timore che il mondo, con noi o senza di noi, possa andare avanti lo stesso.
  • La paura di non avere il potere di cambiare il corso di alcuni eventi, dell’ordine casuale delle cose, che ci fa essere in balìa degli eventi, di un fato alle volte avverso, senza possibilità di prevedere o modificare il corso della propria vita. Cerchiamo così sicurezze per non toccare la nostra impotenza, l’impossibilità di fronteggiare talune situazioni.

La “fuga nella certezza” è una mera strategia di evasione dall’ineluttabilità di tali variabili, e la utilizziamo più spesso di quello che pensiamo: tendiamo a cercare conferme delle nostre idee piuttosto che aprirci ad un dubbio sulle sfumature di significato e di outcome che può prendere una situazione. La religione ed il misticismo, ad esempio, possono essere considerate “fuga nella certezza” (abbracciare la fede, rifugiarcisi, in seguito ad un lutto inspiegabile o improvviso, al quale non si riesce a dare un significato – perché non lo ha, banalmente). Con questo non voglio dire che le religioni siano da condannare, anzi, nate come necessaria risposta a un mondo inspiegabile e alle volte minaccioso, apportano sostegno e rassicurazione ai credenti. 

Anche la ricerca di potere o denaro può essere vista come una ricerca di rassicurazione, procacciandosi strumenti per sentirsi meno vulnerabili alle forze estranee; allo stesso modo, l’uso di sostanze stupefacenti è considerabile come espediente per sottrarsi al disagio e alla sofferenza che inevitabilmente si riscontrano nelle nostre vite. Se queste tendenze sono parte dell’animo umano, se siamo tutti così, perché ci sono delle persone più ansiose e persone più zen? Perché ci sono i “maniaci del controllo” e i “go with the flow”? Perché esistono delle variabili innate in grado di alterare la percezione di sé stessi e del mondo. Il locus of control è una di esse[1].


[1] Ho scritto innata, ma vorrei precisare che, come ogni tratto di personalità col quale nasciamo, verrà poi modellato dall’ambiente familiare nel quale cresciamo. Geni ed ambiente sono sempre interconnessi nella formazione personologica, anche per guarda il locus of control. Per quanto riguarda la trattazione, tuttavia, non è importante la deriva eziologica del tratto: ciò che importa è riconoscersi come si è adesso, per poter agire e migliorarsi.

Qual è il significato di locus of control?

Con questa dicitura, ci si riferisce alla modalità con la quale un soggetto considera gli eventi della vita come riconducibili a sue decisioni/azioni (locus of control interno) oppure da cause indipendenti dalla propria volontà (locus of control esterno). I soggetti con locus of control interno percepiscono maggior controllo rispetto alla propria vita, ritenendo che i propri successi ed insuccessi dipendano dall’esercizio delle proprie capacità e volontà; si sforzano quindi maggiormente verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati, fronteggiando lo stress in modo più adeguato. I soggetti con locus of control esterno, invece, percepiscono minor controllo rispetto alla propria vita, se non addirittura assenza di controllo, ritenendo che ciò che capita sia frutto di fattori imprevedibili ed ingestibili, quali il destino o la sfortuna. Queste persone non tengono in considerazione le proprie capacità personali nel definire gli eventi, sono però facilitate nel preservare il proprio benessere, in quanto tendono a minimizzare il proprio ruolo quando qualcosa di negativo accade, riducendo senso di colpa e conseguente ansia.

Avere una determinata visione del mondo piuttosto che un’altra va ad influire sulle scelte di vita e sulla modalità di condurre la propria esistenza. Questo non significa automaticamente “stare bene o male / essere giusti o sbagliati”: è semplicemente un modo di essere e, come tutte le sfaccettature della personalità, porta problemi quando (e se) diventa rigido ed inflessibile. In questi termini, chi ha un rigido locus of control interno è più propenso a sviluppare ansia, chi lo ha esterno tende più alla depressione.

Cosa fare, quindi? Conoscersi, comprendersi ed essere onesti con sé stessi. Se capisco come funziono, posso cambiare laddove riscontro una problematica, domandandomi il mio ruolo nelle situazioni, cosa è nelle mie mani cosa no, dove posso fare davvero la differenza e dove, invece, è inutile struggermi.

Credo che una delle frasi dei 12 passi degli Alcolisti Anonimi racchiuda un modo di pensare vincente, che tutti dovremmo adottare “Concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso, e la saggezza per comprendere la differenza”.