Perché abbiamo bisogno di sentirci ascoltati

perché abbiamo bisogno di sentirci ascoltati

Perché abbiamo bisogno di sentirci ascoltati

Ricordi un’occasione particolare in cui hai sentito che il tuo interlocutore ti stava ascoltando attentamente?

Ascoltare significa porre attenzione sia a ciò che viene pronunciato, sia a tutti quei segni del corpo che non sono parole. Il termine latino “auscultare”, infatti, è ancora usato in medicina per indicare il gesto di ascolto (mediante uno strumento apposito) delle parti interne dell’organismo. È un’attività attenta e silenziosa, un modo per entrare nell’intimità dell’altro stabilendo un reale contatto, sincero ed interessato.

Più aumentano i canali di comunicazione, più le relazioni si impoveriscono.

Oggi, nella società della comunicazione di massa, disponiamo di mezzi e di occasioni per manifestarci senza precedenti. La rete ha moltiplicato in modo esponenziale la possibilità di raccontarsi e di esprimere opinioni: nel 2018 gli italiani hanno trascorso in media 6 ore al giorno su internet, e hanno dedicato quotidianamente quasi 2 ore all’utilizzo dei social (fonte: ricerca Hootsuite – We are social), canali privilegiati per restare in contatto con amici, familiari e per cercare nuove conoscenze. Tuttavia, questo fenomeno non crea un terreno fertile per relazioni improntate al dialogo e all’ascolto reciproco. Al contrario, sembra che un deserto silenzioso e solitario stia progressivamente guadagnano spazio nelle vite di molte persone. Stiamo assistendo ad un grande paradosso: più i mezzi di comunicazione facilitano gli scambi relazionali, più aumenta il senso di insoddisfazione, di incomprensione e di scarso ascolto.

Se penso alle cause della mancanza di ascolto…

Mi rendo conto che la frenesia delle nostre giornate ci porta sempre più lontani da legami profondi; che l’individualismo diffuso si alimenta di competizione e d’invidia, incrinando rapporti o interponendo il successo alla necessità di relazionarsi in modo costruttivo con gli altri; che il bisogno di sicurezza si traduce in paura di incontrare davvero “l’altro”. Se dovessimo trovare l’origine di questa mancata predisposizione, dovremmo riflettere sulla visione della persona in questa epoca storica, spesso intrappolata in se stessa e da se stessa.

Eppure, a prescindere dal nostro percorso di vita e dai nostri successi, ognuno di noi ha bisogno di essere ascoltato.

Allora, perché sentiamo il bisogno di essere ascoltati?

Avere l’attenzione da parte di qualcuno, che sia un contatto fisico o un gesto, come dimostrare interesse verso ciò che diciamo, significa sentirsi riconosciuti e questo va in parte a definire il modo in cui ci attribuiamo un ruolo nel mondo. Per questo motivo, in mancanza di riconoscimento, tendiamo ad alimentare dubbi ed insicurezze.
Essere ascoltati, quindi, significa percepire che la persona che abbiamo davanti è in grado di comprendere il nostro patrimonio interiore. È una delle strategie che mettiamo in atto fin da bambini per legittimare i nostri sentimenti, sia positivi che negativi.

Avere la possibilità di esternare pensieri, paure e ansie diventa in primis un modo per alleggerire il peso che portiamo, condividendolo con una persona di fiducia. Ci sembrerà quindi di poter procedere con un carico più leggero e di avere un sostegno in più nel nostro percorso.

Quanto conta l’ascolto nella mia professione?

È naturale che uno psicoterapeuta debba avere una predisposizione all’ascolto del proprio paziente. Credo comunque che ci siano molti approcci a questo tema, che vanno poi a dare direzioni diverse alla terapia.

Ascoltare è sempre stata un’attività importante nella mia vita personale e di professionista. Ho lavorato su pazienti con patologie di vario genere e gravità, sia in studio che in altre realtà. Queste esperienze mi hanno permesso di comprendere quanto ogni essere umano sia unico ed irripetibile. Non ragionare con pattern preconfezionati e lavorare sulla persona e con la persona, richiede uno scambio reciproco profondo, che presuppone l’ingresso nella vita altrui con professionalità e sensibilità. Spesso dico che nel mio lavoro bisogna “sporcarsi le mani”, è una metafora che riassume il mio personale approccio, fondato sulla predisposizione ad ascoltare le storie altrui, per fornire chiavi di lettura nuove e strumenti utili per acquisire maggiore consapevolezza di sé e dare nuovo senso alla quotidianità.