Burn-out: cosa succede quando il fuoco si spegne?

Burn-out: cosa succede quando il fuoco si spegne?

Molti articoli che leggiamo in questi giorni, tra cui il mio, tanno sottolineando come l’emergenza COVID-19 stia mettendo a dura prova i nostri medici ed infermieri, i quali rischiano di sviluppare una sindrome da burn-out a causa del carico lavorativo cui sono sottoposti.

Ma cos’è di preciso il burn-out? Letteralmente, significa “bruciarsi”, sottolineando metaforicamente come la persona che lo sperimenta tenda proprio a spegnersi, a deteriorarsi quasi. Possiamo definirlo uno stress cronico. Da maggio 2019 il burn-out è riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come fenomeno occupazionale: si tratta quindi di un fenomeno – non di una malattia – ed è strettamente connesso all’ambito lavorativo, in quanto occupazionale.

Le caratteristiche del Burn-out.

Ci troviamo davanti ad una situazione di burn-out quando riscontriamo tutti o alcuni di questi sintomi:

  • Peggioramento della prestazione lavorativa, in termini sia di impegno che di soddisfazione personale;
  • Stanchezza, demotivazione, rabbia, assenza di sentimenti positivi;
  • Decadimento delle risorse psicofisiche (insonnia, ansia, preoccupazione);
  • Sensazione di essere il problema, di stare attraversando una crisi personale, senza invece tenere conto che potrebbe essere il lavoro la fonte del problema;
  • Esaurimento, sensazione di aver oltrepassato il limite massimo, fisico ed emotivo;
  • Cinismo, che si manifesta in distaccamento emotivo dal proprio lavoro, in irritabilità e/o indifferenza verso la propria utenza;
  • Inefficienza e perdita della fiducia nelle proprie capacità;
  • Rapporti conflittuali con i colleghi;
  • Disagio psicologico, che può poi sfociare in un vero e proprio disturbo psichico (es. depressione) o in conversioni psicosomatiche (es. mal di stomaco / sfoghi cutanei).

La diagnosi di burn-out prevede una normativa ad hoc (DL 81/2018) collegata alla rilevazione del livello di stress lavoro-correlato nelle aziende. Tuttavia, questo non comprende i liberi professionisti e non entra nel merito delle situazioni individuali (prevedendo questionari in forma anonima). La diagnosi andrebbe fatta da uno specialista (psicologo o psichiatra), adatto a comprendere il disagio del singolo e le patologie ad esso eventualmente connesse.

Chi sono i soggetti maggiormente colpiti da burn-out?

Il burn-out può interessare qualsiasi tipo di lavoro, anche se gli ambiti professionali che coinvolgono forti carichi emotivi sembrano essere più soggetti di altri (medici, psicologi, infermieri, insegnanti, poliziotti, avvocati…). In questi lavori, è più difficile gestire la parte emotiva – diversa dal carico lavorativo – che invece andrebbe ben monitorata per evitare sofferenze interiori.

Come in ogni condizione umana, l’eziologia del burn-out è multifattoriale, ed entra in gioco anche la personalità: infatti, non tutte le persone soggette allo stesso ambito lavorativo, con stessi carichi professionali ed emotivi sviluppano burn-out. I soggetti maggiormente a rischio sembrano essere quelli con bassa autostima, introversi, che tendono a porsi obiettivi irrealistici, troppo esigenti e/o ambiziosi, con scarso senso di autoefficacia, scarsa capacità di adattamento, poca cura di sé, scarse strategie di coping[1].

Anche l’ambiente lavorativo gioca il suo ruolo: una scarsa attenzione al benessere delle risorse umane aumenta il rischio di burn-out, che pare inoltre sia “contagioso”, manifestandosi maggiormente nei membri della stessa equipe o nei lavoratori a stretto contatto.


[1] Le strategie di coping sono quell’insieme di meccanismi psicologici adattativi che un individuo effettua per fronteggiare problemi emotivi ed interpersonali, allo scopo di gestire, ridurre o tollerare lo stress.

Le principali cause

Si possono indicare alcune cause scatenanti il burn-out, ricordando però la sua eziologia multifattoriale, quindi non è detto che esse determinino in modo lineare il suo svilupparsi:

  • Sovraccarico lavorativo e/o emozionale;
  • Mancanza o scarsezza di gratificazione;
  • Valori personali e lavorativi contrastanti tra loro;
  • Scarsa remunerazione;
  • Sensazione di non controllo sul proprio operato;
  • Assenza di senso di appartenenza

Cosa fare quado si presentano situazioni da burn-out?

Il vecchio detto “prevenire è meglio che curare” calza proprio a pennello. La prevenzione è il miglior metodo di cura per evitare il manifestarsi di questo fenomeno. Ciò può essere fatto sia a livello aziendale che individuale.

Per quanto riguarda il livello aziendale si possono effettuare interventi volti a migliorare il clima lavorativo, il senso di appartenenza, la valorizzazione delle persone, il welfare. Un esempio di azienda attenta in questo senso è Fonderie di Montorso, realtà nella quale ho lavorato dal 2015 al 2019, implementando e coordinando personalmente questo tipo di azioni[1]

A livello individuale, è utile adottare strategie di coping ed adattamento volte ad aumentare il livello di consapevolezza e resilienza di una persona. Ciò implica la messa in campo di abilità emotive, cognitive, relazionali. Infatti, la difficoltà a misurarsi con le proprie emozioni porta a non riconoscere il problema, incrementando il senso di rassegnazione di chi lo esperisce. La consapevolezza, invece, è ciò che aiuta ad innalzare una protezione in questo senso, aumentando la percezione che esiste una relazione tra il proprio comportamento, i propri vissuti ed il contesto nel quale si lavora. Accrescendo la sensazione di poter modificare il proprio comportamento, aumenteranno le azioni in questa direzione, che porteranno a perseguire il meglio per sé.


[1] Maggiori informazioni direttamente sul sito: www.fonderiedimontorso.com