Disturbi del comportamento alimentare

Disturbi del comportamento alimentare | Rebecca Rossi Psicoterapeuta

Disturbi del comportamento alimentare

Con l’avvento del DSM-5, quelli che in gergo chiamiamo disturbi del comportamento alimentare o disturbi alimentari (nel corso dell’articolo li abbrevierò in DCA) hanno preso il nome di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Una loro accurata diagnosi è imprescindibile per consentire a clinici e a pazienti di adottare un adeguato piano di trattamento. È infatti importantissimo riconoscere un disturbo alimentare per poter intervenire in modo mirato e accurato, prevenendone lo sviluppo e il peggioramento. Se non trattati adeguatamente, i DCA rischiano di cronicizzarsi, con conseguenti alterazioni sui piani fisico, psicologico, relazionale.

Sempre seguendo il DSM-5, intendiamo disturbi della nutrizione e dell’alimentazione quelle situazioni “caratterizzate da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.

 

Quali sono i tipi di disturbi alimentari?

I disturbi alimentari nel DSM-5 sono suddivisi in queste categorie:

Pica (riscontrata prevalentemente nell’infanzia), caratterizzata per l’ingestione di uno o più sostanze non nutritive e non alimentari per un periodo di almeno un mese.

Disturbo di ruminazione (riscontrato prevalentemente nell’infanzia), nel quale per almeno un mese il soggetto rigurgita cibo, che può essere rimasticato, deglutito nuovamente o sputato. Tale rigurgito non è attribuibile a una condizione gastrointestinale o ad altra condizione medica e non si manifesta durante il decorso di altri disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.

Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo (riscontrato prevalentemente nell’infanzia), la cui caratteristica principale è l’evitamento o la restrizione nell’assunzione di cibo per apparente mancanza d’interesse, evitamento, preoccupazione per le conseguenze del mangiare. Non deve associarsi ad apprensione per l’immagine corporea e/o il peso né deve manifestarsi durante il decorso dell’anoressia nervosa e/o della bulimia nervosa.

Anoressia nervosa, i cui criteri diagnostici del DSM-5 sono:

  • restrizione dell’assunzione di calorie, che porta a un peso corporeo significativamente basso rapportato a età, sesso, sviluppo e salute fisica;
  • paura di aumentare di peso e/o comportamenti che interferiscono con l’aumento di peso, anche se già significativamente basso;
  • alterazione del modo in cui viene vissuto il peso e/o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

Esistono due tipi di anoressia nervosa:

con restrizioni: la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l’attività fisica eccessiva;

con abbuffate/condotte di eliminazione: sono presenti ricorrenti episodi di abbuffata e/o condotte di eliminazione (quali vomito autoindotto, uso inappropriato ed eccessivo di lassativi e/o diuretici).

Bulimia nervosa, i cui criteri diagnostici del DSM-5 sono:

  • episodi di abbuffate frequenti, dove con episodio di abbuffata si intende il mangiare in un breve lasso di tempo una quantità di cibo molto maggiore della media delle persone con la sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (almeno una volta alla settimana per un periodo di almeno tre mesi);
  • frequenti ed inappropriate condotte compensatorie per evitare l’aumento di peso (es. vomito autoindotto, abuso di lassativi e/o diuretici o altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva) almeno una volta alla settimana per un periodo di almeno tre mesi;
  • il peso e la forma del corpo inficiano i livelli di autostima;
  • quanto sopra non si manifesta nel corso di episodi di anoressia nervosa.

Disturbo da alimentazione incontrollata (binge-eating) il cui criterio diagnostico del DSM-5 prevede episodi di abbuffate frequenti associate a tre (o più) dei seguenti aspetti:

  • mangiare molto più velocemente del normale;
  • mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni;
  • mangiare grandi quantità di cibo senza sentirsi affamati;
  • mangiare da soli per imbarazzo;
  • provare disgusto/colpa/disagio dopo l’abbuffata;
  • frequenza di almeno un’abbuffata alla settimana negli ultimi tre mesi;
  • l’abbuffata non è associata a condotte compensatorie e non si verifica in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.

Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione, viene applicato quando i sintomi non soddisfano i criteri pieni per nessuno dei disturbi antecedenti. Esistono casi, ad esempio, di anoressia nervosa atipica, nei quali sono soddisfatti tutti criteri per l’anoressia, senza che ci sia significativa perdita di peso; di bulimia nervosa nei quali sono soddisfatti tutti i criteri per la bulimia, ma le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano meno di una volta alla settimana e/o per meno di tre mesi.

Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione, viene applicato nei casi in cui i sintomi del disturbo causano un significativo disagio clinico e/o un danno nel funzionamento sociale/occupazionale/in altre importanti aree, ma non sono soddisfatti i criteri per nessuno dei disturbi nella classe diagnostica.

Disturbo da condotta di eliminazione, nel quale sono presenti condotte di eliminazione per perdere peso in assenza di abbuffate.

Sindrome da alimentazione notturna, caratterizzata da episodi di alimentazione notturna, ossia un estremo consumo di cibo dopo il pasto serale o condotte di alimentazione durante la notte, dopo il risveglio dal sonno. Tali comportamenti causano un disagio significativo e/o una compromissione del funzionamento e non sono attribuibili al disturbo da binge-eating o da un altro disturbo mentale.

 

Quali possono essere le cause dei disturbi alimentari?

Non esiste una causa per l’insorgere ed il mantenersi dei disturbi del comportamento alimentare e della nutrizione. Sicuramente, la commistione di cause psicologiche, biologiche, sociali, contingenti e familiari è l’ipotesi più plausibile da seguire per avere un quadro completo della situazione. Esistono, infatti, dei fattori di rischio che possono aumentare la probabilità di sviluppare questo tipo di disturbo, che sono a loro volta suddivisibili in fattori predisponenti, fattori precipitanti e fattori di mantenimento.

I fattori predisponenti possono essere:

  • genetici (es. familiarità con disturbi dell’alimentazione, depressione, abuso di sostanze);
  • psicologici (es. avere tratti di personalità ossessiva, ansiosa, bassi livelli di autostima, tendenza al perfezionismo);
  • ambientali (es. essere adolescenti e vivere nella società occidentale).

Sono quelli che determinano la vulnerabilità di una persona. Vale a dire che, in presenza di fattori predisponenti si è più a rischio di sviluppare un DCA, ma non è detto che lo si svilupperà. Solitamente, infatti, è la commistione con fattori precipitanti che determina l’insorgenza di qualche disturbo.

I fattori precipitanti sono solitamente eventi traumatici e/o stressanti che slatentizzano (fanno emergere) il disturbo, quali abusi fisici e/o psicologici o lutti. Tuttavia, anche situazioni all’apparenza non altamente traumatogene possono costituire un fattore precipitante, come difficoltà familiari o fallimenti scolastici.

I fattori di mantenimento, invece, comprendono tutti quei fattori che rinforzano la sintomatologia dei DCA, rendendo difficile o addirittura impedendo la remissione dei sintomi. Possono essere:

  • fisici (es. nella bulimia il corpo non è più “abituato” alla corretta ingestione di cibo e spesso si assiste ad episodi di rigetto non indotti);
  • psicologici (es. pensieri in merito al proprio valore e alla regolazione della propria autostima come quelli disfunzionalmente legati alla magrezza e/o al controllo del cibo);
  • ambientali (es. esistono casi in cui l’eccessiva attenzione a mantenersi magri è strettamente correlata a necessità lavorative o competitive, quali la danza classica, l’alta moda, alcuni sport);
  • familiari (es. in alcuni esordi adolescenziali, una delle cause alla base del disturbo è la paura dell’autonomia e, paradossalmente, l’iper-protezione genitoriale che consegue alla sintomatologia non fa che porre l’adolescente in uno stato di regressione, esattamente ciò che mantiene il sintomo).

 

Quali sono le conseguenze dei DCA?

Oltre alle evidenti complicazioni sul piano fisico (nei casi più estremi si arriva anche alla morte per denutrizione), i DCA determinano anche alterazioni sul piano emotivo, quali stati depressivi, ansiosi, irritabilità, isolamento sociale. Questa commistione, rende molto difficile accettare un aiuto esterno, soprattutto perché spesso i sintomi sono egosintonici, ossia non sono percepiti come disfunzionali. Infatti, spesso la restrizione alimentare così come il vomito autoindotto servono per sentirsi in controllo, per gestire l’ansia o la paura, e chi ne soffre non percepisce come vantaggiosa l’eliminazione del sintomo, anzi. In questi casi si parla di vantaggio secondario del sintomo, ed è una situazione che, seppur paradossale, si riscontra spesso nelle condizioni psicopatologiche. Una delle difficoltà nella cura dei DCA è proprio l’ambivalenza di chi ne soffre: da una parte si cerca aiuto, dall’altra lo si rifiuta.

 

Quando preoccuparsi?

Spesso è difficile accorgersi dell’esistenza di un DCA, soprattutto ai suoi esordi: sono infatti patologie complesse, la cui sintomatologia la maggior parte delle volte riesce ad essere abilmente nascosta da chi la manifesta. Esistono, però, alcuni campanelli d’allarme che, se conosciuti, possono aiutare a scongiurare un aggravamento. Ad esempio:

  • qualsiasi alterazione nei confronti del cibo, non solo la riduzione delle porzioni ma anche cambiamenti nella tipologia di alimenti e nella loro assunzione (es. eliminare i carboidrati o tagliare minuziosamente il cibo);
  • alterazioni a livello sociale, quali l’isolamento, e/o psicologiche quali il tono dell’umore, il ritmo sonno-veglia;
  • iperattività e/o incremento dell’attività sportiva.

 

A chi rivolgersi per affrontare i disturbi alimentari?

In base alla gravità del disturbo, saranno necessari approcci di diverso genere. Nei casi più gravi, il ricovero ospedaliero è l’unico mezzo con il quale si può sperare di ottenere una guarigione. Nei casi meno gravi, comunque, gli interventi multidisciplinari sono quelli di elezione in quanto la presa in carico è molto difficoltosa.

L’obiettivo è aiutare il/la paziente a modificare il proprio rapporto disfunzionale col cibo, raggiungibile solo con l’ausilio di diverse figure professionali per integrare psicoeducazione, psicoterapia, farmacologia, riabilitazione nutrizionale.

Per quanto riguarda la psicoterapia, è volta a capire il significato soggettivo del disturbo; a conoscerne i fattori di rischio, precipitanti e di mantenimento; aiutare a sviluppare un pensiero critico rispetto ad esso, alle emozioni, ai pensieri e ai comportamenti ad esso legati; elaborare eventuali eventi traumatici connessi; superare i comportamenti disfunzionali sviluppandone di funzionali.

Accanto ad un percorso individuale, è spesso consigliato anche uno familiare, soprattutto per gli adolescenti e per i giovani adulti che ancora vivono in famiglia. Infatti, senza una comprensione profonda ed un supporto attivo pensato anche dai genitori, diventa difficile uscire dai loop patologici. È necessario, inoltre, aiutare ad attivare dinamiche di ascolto reciproco e di condivisione emotiva, spesso non presenti in queste famiglie. Per questo motivo, esistono anche gruppi di sostegno ai familiari.

La parte di rieducazione nutrizionale, invece, si pone come obiettivo quello di ristabilire comportamenti alimentari sani e corretti e di recuperare un peso salutare.

Qualora ti fossi riconosciuto in alcune di queste parole, ti invito a chiamarmi per una consulenza! Ti lascio qui i miei contatti.