Il significato della paura oggi. Le mie riflessioni sull’evento di Torre Alfina.

Il significato della paura oggi. Le mie riflessioni sull’evento di Torre Alfina.

“Ci sono due modi per muovere gli uomini: l’interesse e la paura” Napoleone Bonaparte

Il 28 maggio scorso, ho organizzato a Verona un evento parte del Festival della Complessità, intitolato: “Alle prese con la paura in un mondo troppo complesso”. Tale incontro, aperto al pubblico e gratuito, aveva come obiettivo quello di stimolare una riflessione critica in merito ad alcuni quesiti aperti: che significato ha la paura nell’era della complessità? Abbiamo più paura rispetto al passato? Sono cambiate le credenze in merito? Possiamo ritenere la paura una risorsa? Che significato può assumere all’interno della sofferenza? Di cosa abbiamo paura? Quali sono le soluzioni che troviamo per vivere in quest’era così complessa?

La riflessione emersa con il pubblico, grazie agli input dei discussant (oltre a me erano presenti un pediatra, uno psichiatra e una formatrice) è stata così interessante che Fulvio Forino, organizzatore del Festival della Complessità a livello nazionale, ha deciso di dedicare le quinte vacanze di studio organizzate dall’associazione Dedalo’97, promotrice del Festival, all’approfondimento della questione.

Ecco allora che il 13-14-15 settembre mi sono recata a Torre Alfina, considerato uno dei borghi più belli d’Italia, per un weekend all’insegna del pensiero complesso, intitolato: “Più cultura meno paura”. Punto di partenza è stata la seguente riflessione:

“Oggi, il progresso e il benessere che ci siamo conquistati sembrano rivolgersi contro di noi. Non abbiamo soluzioni semplici per problemi inediti, complessi e globali: economici, climatici, energetici, sociali, tecnologici. Chi può risolverli da solo? Una disciplina, uno specialista, un economista, un politico? Imprevedibilità, incertezza, sfiducia generano fantasmi e paure. Alimentata dai media, la paura è diventata una visione del mondo. La politica pubblica e le vite private sono ormai profondamente condizionate dalla paura. Si può utilizzare la paura per impedirci di ragionare, decidere e agire per il meglio? La paura può essere una risorsa? Se sì, cosa ha a che fare con la cultura? Se la scienza può offrire delle certezze e spiegare ciò che sembra misterioso, il pensiero complesso e sistemico offre gli strumenti per apprendere a convivere con l’imprevedibile e l’incerto.”

Un dibattito multi disciplinare per comprendere la paura.

I ragionamenti dei partecipanti sono stati guidati ed incentivati da tre conversazioni interattive, per cercare di capire come e perché ci sentiamo in pericolo quando non conosciamo, quando ci appigliamo a false credenze o miti. Le diverse conoscenze di Pierluigi Fagan, geopolitico, Rino Stuppia, psico-genetista, Giuseppe Gembillo, filosofo, ci hanno aiutato a riflettere su quanto sia effettivamente importante fare cultura per avere meno paura.  I giorni sono trascorsi in un clima rilassante, non competitivo, stimolante, che mi ha aiutata a ricordare quanto sia importante il confronto continuo con persone di diversa formazione e pensiero, per affrontare le varie tematiche della vita da nuove angolature e con prospettive differenti dalla propria. Sono tornata arricchita, personalmente e professionalmente.

Infatti, ho finalmente avuto modo di pensare. Quel pensiero libero, avulso dal lavoro e dal quotidiano, quel pensiero che la frenesia della nostra società ci sta piano piano togliendo. Tutti noi, presi dal ritmo incalzante della vita, ci stiamo disabituando a questo tipo di pensiero, ci stiamo disabituando a ragionare, parlare, confrontarci, farci un’opinione, per la mera assenza di tempo. Questa “full immersion” mi ha dato la possibilità di ricentrarmi su alcune tematiche importanti della cultura attuale, nella quale tutti viviamo, connesse con la paura.

La cultura può combattere la paura?

Ritengo la paura l’elemento centrale di molte delle terapie che conduco ed ho condotto. La paura è un’emozione senza oggetto che deriva dall’incertezza. Ognuno di noi, poi, metterà un volto a questa paura, che spesso si trasforma in sintomo, un qualcosa di più “gestibile” e tollerabile, rispetto all’emozione sottostante che ha creato la paura. E allora, può davvero la cultura aiutare ad avere meno paura? In che modo?

Io credo che la cultura possa farlo, quando si tratta di cultura rivolta a sé stessi. La cultura del sé intesa come conoscenza ed approfondimento di chi si è, di come si funziona, di ciò che si vuole. E riuscire ad approcciarsi a questo tipo di cultura è molto difficile nel clima attuale, che rimanda continuamente riferimenti valoriali altri, spesso “sbagliati”, che allontanano da sé, in un’epoca che vuole essere globalizzante ma che sempre più è quella dell’individualismo. Bisognerebbe, quindi, concentrarsi su quella che è la cultura condivisa, per riuscire ad allontanarcisi e ritrovare la propria.