Qualcuno volò sul nido del cuculo

Qualcuno volò sul nido del cuculo

Disegnare i confini della follia: il contrasto tra libertà e patologia.   

Nella stanza dell’ospedale psichiatrico un gruppo di pazienti siede in cerchio. Tra loro c’è Billy che, al cospetto dell’infermiera Ratched, abile manipolatrice e persona coercitiva, balbetta la dichiarazione d’amore fatta alla sua amata.

Le frasi sconnesse del giovane Billy vengono interrotte dall’irriverente Randall Mc Murphy: “Ma che cosa vi credete di essere, vacca troia? Pazzi? Davvero? Invece no. E invece no. Voi non siete più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada, ve lo dico io”.

Queste parole – che ad un primo momento fanno sorridere per il tono irriverente del presunto pazzo (Jack Nicholson) – mi riportano ad una riflessione profonda sul concetto di “anormalità”.

Randall incarna quel soggetto che, per la sua coerenza e lucidità nel pensare fuori dal coro, mal si uniforma alle regole del vivere in società e, in quanto difficile da definire, viene considerato “potenzialmente pazzo”.

Foucault lo collocherebbe tra la figura dell’individuo da correggere, quel tipo di persona che pur vivendo ai margini della norma (il palma res di Mc Murphy comprende reclusione per scazzottate, frequentazione di prostitute e nessuna voglia di lavorare), propone delle argomentazioni sulla propria condotta che denotano una certa consequenzialità. Dopo aver mandato in crisi il sistema giudiziario, Randall viene infatti messo al vaglio dell’apparato psichiatrico per tentare di porre dei confini tra il suo modo di intendere e il senso comune di normalità.  

Dove sta la pazzia in questo personaggio? E in Billy che, non accettando la coercizione della madre, tenta di suicidarsi? E nella figura imponente e mansueta del capo indiano che si spaccia sordo muto per distinguersi da un mondo che non accetta?

Questa narrazione paradossale ci mostra come nella loro presunta follia tutti i personaggi del film dimostrino una certa logicità nell’esporre la propria esperienza e visione del mondo. Non è forse il concetto di pazzia condiviso in quel periodo storico a decretare la loro diversità, più che la patologia che portano in sé? Non è il sistema di coercizione esercitato dall’istituto, i farmaci e la routine vissuta in quella scatola di cemento a portare questi uomini a diventare pazzi?

La follia, un concetto che muta nel tempo

Se alla definizione di “follia” è impossibile mettere la camicia di forza, allora non possiamo essere certi a priori di poter definire un soggetto folle, nonostante il suo comportamento vada fuori dagli schemi. Stiamo parlando di un concetto in continuo cambiamento, sfuggevole e difficile da incasellare.

Billy finisce in manicomio per non sottostare all’atteggiamento di una madre che gli impediva di amare; il capo indiano perché aveva trovato una strategia “perfetta” per essere rigettato della sua comunità di appartenenza, in quanto none accettava accettare lo status quo.

Le norme entro le quali il potere esercita il controllo sull’individuo sono principi in divenire, i cui confini vengono spostati con il mutare dell’agire comune. Spesso sono proprio i “pazzi” a modificare non solo l’idea di follia ma a portare la società a camminare in luoghi sconosciuti, in terreni dove c’è ancora spazio per mettere in discussione ciò che “normalmente” si è abituati a concepire come verità, cambiando così il senso condiviso delle cose.

“Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita”. (Alda Merini)

Chi ha il coraggio di volare fuori dal nido del cuculo?

“Uno stormo di tre oche, una volò ad est, una volò ad ovest, una volò sul nido del cuculo”.

Il titolo del film è stato ispirato da questa filastrocca, dove il nido del cuculo è una metafora che indica il manicomio. Mc Murphy, con il suo comportamento fuori dagli schemi, ha saputo risollevare gli animi degli internati, mettendo davanti a loro una realtà diversa da quella dispensata all’interno dell’istituto. Li rende così in grado di percepire che la loro follia non è altro che una catena dalla quale possono scegliere di liberarsi.

Mi piace molto questo film, lo apprezzo tanto per la maestria di regista e attori, quanto per la sua capacità di essere sempre attuale. Seppur il concetto di “follia” sia mutato rispetto al periodo di diffusione della pellicola, il tema della definizione e della comprensione della patologia mentale è ancora oggetto di studio e approfondimento. Va comunque sottolineato che il film riporta una visione parziale di un fenomeno che si presenta nelle più svariate forme e in diversi gradi di gravità in relazione agli atti commessi. Tuttavia, bisogna considerare che che alcune tecniche come la lobotomia sono ancora diffuse in alcuni paese, soluzioni che preferiscono neutralizzare il soggetto incomprensibile ed incontenibile anziché tentare di comprenderlo.

Soprattutto in casi di cronaca nera, si rischia di etichettare il soggetto come “folle” per rassicurarsi, per illudersi che solo la pazzia può condurre a comportamenti incomprensibili ai più. Ma è una mera illusione, che cerca di annientare il “male” e equipararlo alla pazzia.

A tal proposito consiglio la lettura del volume di Ugo Fornari “Delitti folli, delitti di folli”, che mostra e analizza tale questione attraverso una trattazione di casi reali.