Quando andare dallo psicologo e quando dallo psicoterapeuta?

Quando andare dallo psicologo e quando dallo psicoterapeuta?

Che lavoro fai? La psicoterapeuta? Wow! Quindi puoi prescrivere farmaci? No? Ah… E cosa fai allora? Che differenza c’è tra te e una psicologa? Analizzi i sogni? L’altra notte ho sognato che… E via dicendo. Questa è la conversazione che avviene mediamente ogni volta che conosco una persona nuova. E mi rendo sempre più conto quanto poco sia chiara la figura dello psicoterapeuta, e quanto invece sarebbe necessario che tutti sapessero chi siamo, cosa facciamo e perché siamo così utili!

Ecco allora una breve guida, per curiosità o per esigenza.

Qual è la differenza tra psicologo, psicoterapeuta, psichiatra?

Queste tre figure professionali si differenziano per il tipo di studi, quindi per le competenze acquisite e per il ruolo rivestito.

Psicologo: professionista della salute mentale laureato in Psicologia e abilitato all’esercizio della professione in seguito ad un Esame di Stato. Non è, quindi, un medico.

  • Cosa fa? Lavora per promuovere il benessere delle persone a 360°, in ambito clinico, aziendale, sportivo, scolastico… Offre sostegno e consulenza, effettua diagnosi avvalendosi del colloquio clinico e/o di test psicologici atti a suggerire l’intervento migliore e più efficace alla persona che ne fa richiesta. Non è equipaggiato per trattare disturbi psicopatologici e psichiatrici o per fare un’analisi più nel profondo.
  • Per chi è indicato? Per chi sta attraversando un momento di disagio legato ad un singolo aspetto della propria vita che sia lavorativo, scolastico, familiare. Lo psicologo può offrire un supporto relativo ad un singolo aspetto. Tuttavia, è molto comune che i disagi di questo tipo sottendano problematiche più radicate e profonde: il mio consiglio è quello di rivolgersi sempre ad uno psicoterapeuta per una prima valutazione in modo che abbia la preparazione per capire ed affrontare la persona a tutto tondo.

 

Psicoterapeuta: professionista della salute mentale laureato in Psicologia o Medicina, abilitato all’esercizio della professione in seguito ad una specifica formazione. Può essere o non essere un medico. Tale formazione deve essere effettuata in una scuola di specializzazione riconosciuta dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca): è un percorso di almeno quattro anni, post-laurea e post Esame di Stato, che prevede aspetti teorici e pratici (quali tirocinio e supervisione).

Lo psicoterapeuta, quindi, ha una formazione aggiuntiva e specialistica rispetto allo psicologo e differente rispetto allo psichiatra (a meno che un medico psichiatra faccia anche una scuola di specializzazione in psicoterapia).

Esistono varie scuole di psicoterapia, che insegnano approcci e metodi differenti per trattare la psicopatologia (psicoanalisi, cognitivo–comportamentale, sistemico–familiare, gestalt, ecc.…). Una differenza che spesso viene fraintesa è quella tra psicoterapeuta e psicoanalista: lo psicoanalista è uno psicoterapeuta la cui formazione è avvenuta in ambito psicoanalitico. Quindi, non tutti gli psicoterapeuti sono psicoanalisti ma tutti gli psicoanalisti sono anche psicoterapeuti.

  • Cosa fa? Interviene in ambito psicopatologico e psichiatrico con strumenti specifici e indicati che lo psicologo non possiede. Anche la psicoterapia si avvale principalmente del colloquio clinico, ma può attingere anche ad altre tecniche e metodologie, scelte ad hoc per la persona che si presenta.
  • Per chi è indicato? Per chiunque stia attraversando un momento difficile della propria vita, per chi soffre di sintomatologia conclamata quale ansia, depressione, pensieri intrusivi, incapacità di controllare gli impulsi, di mantenere le relazioni… Sarà poi lo psicoterapeuta a valutare se sia necessario anche un intervento psichiatrico oltre a quello psicoterapeutico e, nel caso, ad effettuare un invio presso uno psichiatra. È sempre bene, infatti, che la cura farmacologica sia affiancata ad una terapeutica: diversi studi evidenziano la maggior efficacia di un intervento di questo tipo rispetto al solo intervento farmacologico.

 

Psichiatra: professionista della salute mentale laureato in Medicina e successivamente specializzato in Psichiatria.

Per gli psichiatri, è possibile avere il titolo di psicoterapeuta richiedendolo al proprio Ordine. Questa è una falla grandissima nel nostro sistema, in quanto non garantisce che lo psichiatra-psicoterapeuta abbia frequentato una scuola di specializzazione quadriennale in psicoterapia. Personalmente, la maggior parte degli Psichiatri che conosco svolgono il loro lavoro con scienza e conoscenza. Come si suol dire: gli psichiatri fanno gli psichiatri; gli psichiatri formati anche in psicoterapia svolgono entrambe le professioni. Ma, ahimè, vi sono tantissimi psichiatri che svolgono la professione di psicoterapeuta senza un’adeguata formazione, in quanto quella in psichiatria è diversa.

Cosa fa? Si occupa dei disturbi mentali, delle psicopatologie e delle patologie psichiatriche. Può prescrivere farmaci, qualora ce ne sia bisogno, e richiedere approfondimenti clinici.

Per chi è indicato? Per le persone i cui sintomi sono troppo profondi e radicati per poter essere trattati con la sola psicoterapia. Purtroppo, sono molti quelli che preferiscono un farmaco ad un trattamento psicoterapeutico: più veloce e meno “impegnativo”. Tuttavia, il farmaco cura il sintomo e non ciò che lo ha provocato: in questo modo si rischia di spegnere un disagio e riaccenderlo in un’altra forma.

Ribadisco che è sempre meglio affiancare la terapia farmacologica (che cura il sintomo ridando una certa stabilità in meno tempo) a quella psicoterapeutica (che, trattando il profondo, ridà stabilità nel lungo periodo).

Quando andare dallo psicologo, quando dallo psichiatra e quando dallo psicoterapeuta?

Tendenzialmente, quello che può valutare uno psicologo lo può valutare anche uno psicoterapeuta, con il vantaggio di avere una formazione più approfondita ed esperta e di poter continuare con lo stesso professionista se una psicoterapia fosse necessaria. Infatti, lo psicologo-psicoterapeuta è ovviamente formato anche per effettuare interventi di supporto psicologico. Quindi, in presenza di un disagio soggettivo, anche in assenza di sintomi conclamati, consiglio di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta.

Lo psicologo può essere maggiormente indicato, invece, in ambiti aziendali o sportivi, purché si sia formato appositamente (es. master o formazione sul campo).

Lo psicoterapeuta è anche in grado di valutare se c’è la necessità di un intervento farmacologico oppure no: in questo caso, saprà indicare uno psichiatra di riferimento per una valutazione, ciò non significa che la psicoterapia non sarà comunque necessaria.

Nella maggior parte dei casi il trattamento farmacologico è molto utile o addirittura strettamente necessario per alleviare la sofferenza, eliminare i principali sintomi e per ristabilire un minimo di equilibrio, indispensabile per l’intervento psicoterapeutico.

Psichiatra e psicoterapeuta agiscono assieme per il benessere della persona, ognuno con le sue competenze. L’intervento psichiatrico ha come obiettivo ridurre la sofferenza del paziente eliminando la sintomatologia attraverso l’uso di farmaci ad hoc; quello psicoterapico mira ad estirpare la radice del problema, ossia ciò che ha causato i sintomi e la sofferenza. Il primo cerca di ristabilire l’equilibrio fisiologico, il secondo quello psicologico.

Nello specifico, consiglio di rivolgersi ad un terapeuta se ci si ritrova in alcuni di questi pensieri:

  • Come mai ogni volta che succede X io reagisco Y, pur sapendo che non dovrei?
  • Nessuno mi capisce. Es. Quando racconto il mio disagio, sia i miei amici che i miei familiari mi dicono che me la prendo troppo e che non riesco a vedere il lato positivo.
  • Non sento quello che dovrei sentire. Es. Ho finalmente cambiato lavoro ma, invece che essere felice come mi aspettavo, non dormo la notte e ho pensieri distruttivi.
  • Non riesco a superare questo lutto.
  • L’ansia (o qualsiasi altro sintomo) ha toccato una soglia che non mi fa più andare avanti, non ce la faccio più.
  • La mia vita non mi piace.
  • Non ho amici.
  • Ho paura delle situazioni e/o delle persone nuove.
  • Tutti mi guardano male e pensano che io sia incompetente.
  • Io penso di essere incompetente e che nessuno mi vuole.
  • Voglio smettere di… (drogarmi, bere, giocare, fare sesso compulsivo, mangiare troppo, avere paura, non buttarmi, chiedere scusa, sentirmi in colpa, sentirmi uno schifo…).
  • Non sono più quello che ero, non mi riconosco.
  • Sono rimasto solo/sola.
  • Non provo più piacere a fare niente.
  • Vorrei migliorare… (la mia autostima, la mia vita, il mio rapporto con gli altri, il rapporto con me stesso/stessa, con il lavoro, con il partner, con la mia famiglia…).
  • Vorrei gestire meglio le situazioni… (di stress, di pericolo, quotidiane, di intimità, di rabbia, di forte emozione…).
  • Ho degli sbalzi di umore incontrollabili.
  • Non mi sento padrone/padrona della mia vita.
  • Sono bloccato/bloccata.
  • Non mi capisco/voglio capirmi di più.
  • Ho problemi fisici (mal di schiena, mal di testa, gastrite…) ma gli esami medici non hanno dato alcun esito.
  • Non riesco a scacciare pensieri fastidiosi.
  • Non riesco a dormire.
  • Le mie performance (lavorative, sportive, sessuali…) non sono come un tempo.
  • Non riesco a farmene una ragione (di un fallimento, di un litigio, di una rottura, di una malattia…).

 

Si può chiedere aiuto all’amico psicologo?

È capitato alcune volte che un amico mi chiedesse di essere seguito da me in terapia “ti conosco, mi sentirei più a mio agio!”. Ma non è indicato, perché il rapporto terapeuta–paziente è il fulcro della terapia: è importante che ci si incontri e si lavori all’interno di un luogo specifico, con le sue “regole”, che delimitano e proteggono. Allo stesso modo, parlare con un amico o un familiare non è la stessa cosa rispetto al parlare con un terapeuta. Perché? Perché noi terapeuti ci relazioniamo in maniera differente, avendo gli strumenti per comprendere le dinamiche disfunzionali che chi abbiamo davanti esterna e per farle notare nella maniera più corretta, promuovendo così la presa di coscienza prima e il cambiamento poi.

L’ascolto terapeutico è diverso dall’ascolto “normale”.

Ecco perché coi nostri amici non funziona: conoscendoli in precedenza, non siamo liberi da opinioni e dinamiche già instaurate! Non saremmo quindi liberi di fare il nostro lavoro. Per i nostri amici rimaniamo un supporto, come gli amici dei nostri pazienti lo sono per loro. L’esperienza psicoterapeutica, infatti, non vive solo su un piano logico razionale, ma soprattutto su uno più esperienziale, profondo ed inconsapevole. Il cambiamento terapeutico spesso non si sa spiegare: ad un certo punto c’è un qualcosa che si innesca e dà una svolta al paziente; lo sblocca.

Ancora più di frequente, è il pensiero di potercela fare da soli ad ostacolare la richiesta d’aiuto: “il mio è un problema stupido/ce la posso fare/se chiedo aiuto sono debole”. No!

Chiedere aiuto va sempre bene, non esistono problemi stupidi o non importanti.

Sentirsi deboli o impotenti nel rivolgersi ad un professionista è quanto di più lontano ci sia dalla realtà: accettare supporto è segno di maturità e amore per sé stessi, è umano!

“Va be, passerà!” No! Non passerà!

Qualsiasi problematica, se non affrontata direttamente, non potrà che peggiorare. Così come la sofferenza, l’insofferenza, il disagio. Qualsiasi aspetto negativo della nostra vita non può migliorare da solo, dobbiamo essere noi i promotori del nostro benessere e, per fare ciò, può essere necessario il supporto di un professionista.


Come trovare e scegliere uno psicologo – psicoterapeuta.

Solitamente, quando abbiamo bisogno di un buon medico ci affidiamo a conoscenze e passaparola. Potrebbe funzionare così anche per la psicoterapia, ma vuoi la riservatezza, vuoi la mancanza di conoscenze nella propria rete, spesso non si può ricorrere a questo efficace mezzo. E allora? Alcuni si rivolgono al proprio medico di base ma la maggior parte delle persone si affida ad internet.

Come si può capire con questo mezzo o dopo il primo colloquio se uno psicologo, uno psicoterapeuta, uno psichiatra è bravo? Ottima domanda. Vediamo prima come cercare “quello giusto” e poi come capire se è davvero giusto per noi.

Ecco le domande da porsi:

  1. Devo affidarmi ad uno psicologo, uno psicoterapeuta o uno psichiatra?

Per rispondere, rimando a quanto scritto sopra. Ripeto che, per me, lo psicoterapeuta è sempre il professionista più indicato per un primo colloquio e, quindi, mi concentrerò su la sua figura.

  1. Uomo o donna?

Per capirlo, pensa con chi saresti più a tuo agio a parlare. Spesso, si sa la risposta senza magari sapere perché. Potrebbe anche essere indifferente la scelta del sesso, non è detto che si abbiano preferenze.

  1. Che età?

Anche questa è una domanda la cui risposta è molto soggettiva e dipende dall’età del paziente. Ad esempio, la mia utenza è molto giovane, probabilmente perché i giovani si sentono maggiormente a loro agio con una persona più vicina a loro mentre viceversa, chi è più in là con gli anni preferisce un coetaneo. Ma non è detto che sia così per tutti.

  1. Quale specializzazione?

Gli approcci teorici della psicoterapia sono così tanti che rischiano solo di confondere chi cerca quello giusto per sé. A mio parere, non conta tanto l’approccio teorico quanto il terapeuta: ognuno di noi si è specializzato nell’ambito che sentiva più affine a sé ma, poi, ha sviluppato una metodologia di lavoro personale, unica e soggettiva. La terapia è fatta dall’incontro tra terapeuta e paziente: l’individualità del primo è più importante della sua formazione. Secondo me è molto importante che il terapeuta abbia effettuato un’analisi personale, e si può tranquillamente chiedere qualora l’informazione non fosse immediatamente disponibile.

  1. Quanto spendere?

Come ogni scelta, è ovvio che anche il lato economico sia rilevante. Nel caso della psicoterapia, non bisogna lesinare: l’opzione più economica non equivale alla miglior opzione, anzi! Investire nella psicoterapia ha valenza a lungo termine: permette di evitare scelte sbagliate in futuro, le quali potrebbero avere ricadute gravi. Per chi non avesse i mezzi per permettersi una terapia esiste il servizio pubblico che, però, molte volte non ha gli strumenti per fornire un lavoro adeguato. Molti terapeuti offrono tariffe calmierate in base alle esigenze dei pazienti (alcuni si possono trovare tramite questo portale www.psicoterapia-aperta.it).

  1. Ubicazione.

Verrebbe da pensare che più il terapeuta è vicino meglio è: risparmio tempo ed è più comodo. Io penso che non sia così: meglio un terapeuta più lontano ma adatto alle nostre esigenze piuttosto che uno con lo studio accanto a casa nostra ma che non faccia per noi. Inoltre, avere qualche tempo per sé (es. un tragitto a piedi, sui mezzi, in macchina) può aiutare a prepararsi prima della seduta e a metabolizzare meglio quanto emerso dopo. Al contrario, c’è chi preferisce recarsi in un’altra città per paura che il terapeuta conosca qualcuno con cui andrà a parlare: ricordo che abbiamo il segreto professionale e che, chi lavora seriamente, sarà il primo a non accettare un paziente col quale si rende conto di non poter lavorare (vuoi per eccessive conoscenze in comune/conflitto di interessi).

Risposto a queste domande, il campo di ricerca dovrebbe essersi ristretto!

Come capire se quel professionista va bene per noi.

Esistono molti portali che individuano professionisti della salute mentale: consiglio di leggere innanzitutto la sua presentazione. Ci piace a pelle? E la foto? Ci ispira qualcosa?

Se il professionista ha un sito ancora meglio: leggiamolo! Ci ritroviamo in qualcosa? Spiega chi è/il suo modo di lavorare? Ci sono recensioni positive?

Personalmente, diffido molto di chi cerca di “vendersi” piuttosto che di spiegarsi: la nostra è una professione delicata nella quale sincerità e trasparenza devono essere messe sempre al primo posto. Come per ogni paziente ci possono essere terapeuti giusti, così è anche per il terapeuta ci saranno pazienti giusti. Dobbiamo essere consapevoli di non poter trattare tutto e tutti, dobbiamo conoscere i nostri limiti e lavorare tenendoli in considerazione. Chi proclama guarigioni brevissime e di saper lavorare su qualsiasi situazione e su chiunque non dà un buon biglietto da visita, a parere mio.

Trovato il terapeuta che fa al caso nostro, non resta che chiamarlo, scrivere una mail o un messaggio… Il primo contatto è molto libero: alcuni sentono di voler anticipare la propria problematica per capire se il terapeuta può effettivamente aiutarli, altri preferiscono rimandare tutto al primo incontro. Io lascio molto alla persona, non obbligo ad un contatto telefonico per forza: ho visto pazienti per la prima volta sapendo solo nome e cognome. Alcuni colleghi preferiscono fare un primo screening telefonico, ognuno ha i suoi metodi. In ogni caso, è solo col primo colloquio che sia paziente che terapeuta possono davvero farsi un’idea di chi hanno davanti. In questo incontro conoscitivo, oltre che esporre il proprio problema, è utile porre tutte le domande che si hanno sia in merito al percorso terapeutico sia sul terapeuta: è lecito avere dei dubbi ed è doveroso chiarirli assieme.

Come ci si sente dopo questo incontro sarà la bussola che orienterà la scelta: mi sono sentito/a capito/a? Ha fatto delle osservazioni che mi hanno fatto riflettere? È una persona con la quale me la sento di intraprendere un percorso a lungo termine? È stato chiaro/a? È in linea con le mie aspettative?

Può capitare che il primo colloquio non basti né al terapeuta né al paziente per capire se e come lavorare assieme: il mio consiglio è di farne almeno tre o quattro prima di prendere una decisione. Alle volte, infatti, il pensiero di non voler più tornare o di non avere trovato la persona giusta potrebbe essere dettato dalla paura di intraprendere il percorso.

Come capire se il proprio psicologo – psicoterapeuta è bravo.

Non esistono parametri unici e facilmente identificabili per capire se il proprio psicoterapeuta è bravo. Tuttavia, se già uno se lo sta chiedendo, magari c’è qualcosa che non va!

La psicoterapia funziona se funziona la relazione tra paziente e terapeuta, se c’è buona collaborazione. L’esito non dipende solo da uno o solo dall’altro, ma dalla sinergia tra le parti. Vien da sé come sia difficile, quindi, stabilire la “bravura” di un terapeuta!

Ci sono, però, dei segnali che permettono di capire come lavora il professionista e sono stati identificati da due psicoterapeuti (Jeffrey Kottler e John Carlson) nel libro “Essere un eccellente terapeuta”[1] grazie alla combinazione di studi scientifici, esperienza ed interviste a colleghi. Il risultato ci da alcune caratteristiche che il professionista dovrebbe avere:

  1. Saper tollerare le frustrazioni: conflitti, complessità ed incertezze sono elementi insiti in ogni relazione terapeutica. Per questo è necessario saperli cogliere e gestire, rielaborandoli in modo funzionale assieme al paziente, creando così in esso le basi per poterlo fare anche fuori dalla cornice terapeutica.
  2. Essere flessibile, ossia adattarsi alle esigenze del paziente qualora sia funzionale per la terapia.
  3. Impegno costante, mosso da dedizione, curiosità e voglia di dare il massimo.
  4. Sincerità: un terapeuta che consola, asseconda e dà consigli non fa bene il suo mestiere. Lo fa, invece, se aiuta i propri pazienti ad aprire gli occhi sulla realtà, anche se a volte dolorosa, ed affinare gli strumenti per affrontarla.
  5. Coraggio, molto connesso al punto sopra. Per fare bene questo lavoro bisogna “sporcarsi le mani”, essere attivi e partecipi nel percorso di cambiamento dei propri pazienti, non aver paura di andare controcorrente o fuori dalla zona di confort propria e dei propri clienti.
  6. Saper individuare e lavorare con le risorse del paziente: un bravo terapeuta non mira a ridurre il disagio, ma ad aumentare il benessere.
  7. Saper creare e mantenere una buona alleanza terapeutica, che si instaura attraverso sensibilità, attenzione, fiducia.
  8. Capacità di mettersi in discussione ed imparare dai propri errori: un buon terapeuta è umile e conosce i propri limiti.
  9. Autenticità: un buon terapeuta fa leva sulle proprie caratteristiche personali per rendere il proprio operato migliore. La spontaneità garantisce un livello di fiducia e trasparenza necessario ad un buon outcome
  10. Capacità di cambiare, rinnovarsi, aggiornarsi.

 

Ora, spero che quanto scritto possa aver aiutato il lettore a chiedere l’aiuto più adeguato o, semplicemente, ad avere maggior chiarezza in ambito “psico-”! Per qualsiasi altra informazione, sono sempre disponibile. Contattami qui.

[1] https://bit.ly/3A8X8Xp