Dipendenza affettiva: vediamone insieme cause e soluzioni

Dipendenza affettiva: cause e soluzioni. | Rebecca Rossi Psicoterapeuta

Dipendenza affettiva: vediamone insieme cause e soluzioni

Partiamo dalla definizione clinica di dipendenza affettiva

 

La dipendenza affettiva, sebbene se ne parli come di una vera e propria categoria diagnostica, non rientra tra i disturbi catalogati nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5). È inclusa, invece, all’interno delle nuove dipendenze comportamentali, una gamma di condotte disfunzionali che hanno quale oggetto di dipendenza un comportamento anziché una sostanza o un’attività illecita. Qualsiasi attività quotidiana, quindi, può assumere il connotato di dipendenza: tra le new addictions troviamo, oltre a quella affettiva, quella da sesso, da sport, da shopping compulsivo, da internet, da lavoro… Queste attività, quando compromettono il funzionamento psichico, emotivo e relazionale di chi ne soffre, assumono il connotato di dipendenza comportamentale.

Nonostante l’esponenziale crescita che tali nuove dipendenze hanno avuto negli ultimi anni, non esiste abbastanza letteratura scientifica in merito per poter effettuare una corretta sistematizzazione clinica. Questo rende difficile effettuare diagnosi di dipendenza affettiva, essendo di per sé difficile porre un confine tra ciò che è normale e ciò che è patologico.

Riassumo in punti i tratti caratteristici di questo tipo di dipendenza:

  • paura di essere abbandonati e/o di perdere la persona amata;
  • difficoltà nelle separazioni e nel gestire la solitudine;
  • marcata gelosia;
  • tendenza all’isolamento;
  • relazione simbiotica e fusionale con il partner
  • manifestazioni di panico al minimo conflitto;
  • mancanza di interesse per la propria individualità e/o paura di mostrarla;
  • senso di vuoto;
  • pensieri ossessivi rivolti al partner (attuale, passato o presunto);
  • frequente senso di colpa e rabbia;
  • ansia, depressione.

 

Quando la relazione diventa la soluzione ai propri bisogni.

Il meccanismo della dipendenza affettiva è pressoché uguale a quello delle addiction: vedere nella sostanza (in questo caso nella relazione con la persona) la soluzione ai propri bisogni, alla sensazione di vuoto interiore, che verrà invece solo aumentata percorrendo la strada della dipendenza, in un vortice negativo senza fine apparente. Ovviamente, per poter correre ai ripari, non occorre avere una diagnosi precisa, dato che non esiste nemmeno, ma basta riconoscersi in alcuni degli aspetti sopracitati. Come sempre, la consapevolezza è sempre il primo passo verso il proprio benessere. Se già stai leggendo questo articolo, significa che hai qualche dubbio in merito alla tua modalità relazionale. Bene, ecco alcune domande che potrebbero aiutarti:

  • ti senti completamente libero?
  • C’è qualcosa che condiziona le tue giornate, i tuoi pensieri, le tue scelte?

Infatti, nella dipendenza affettiva, l’entusiasmo sano correlato a determinate azioni e comportamenti del quotidiano è sostituito da comportamenti e pensieri disfunzionali che impoveriscono la vita anziché arricchirla, assorbendola completamente, non lasciando spazio ad altro.

 

Cosa causa e come si manifesta la dipendenza affettiva.

 Come per quasi tutte le manifestazioni psicologiche, le cause sono da ritrovarsi nelle relazioni primarie. Nel caso del dipendente affettivo, si suppone abbia sviluppato un tipo di attaccamento insicuro, ossia abbia sperimentato incostanza nelle figure di accudimento, sentendo i suoi bisogni a volte accettati altre rifiutati, sviluppando così conseguente ansia, senso di colpa, instabilità emotiva, che sfociano in necessità di controllo e vicinanza. La relazione sarà quindi di tipo possessivo, dettata dall’insicurezza sperimentata in quella primaria, ove l’imprevedibilità ha connotato le prime esplorazioni. Sarà un adulto che, intrinsecamente, pensa di non poter essere amato in modo continuo e funzionale, i cui bisogni possono essere presi in considerazione come no, il cui senso di sé oscilla tra la sensazione di essere amato dal partner e la vulnerabilità. Sarà un adulto connotato da un vuoto interiore pervasivo, condito da un senso di abbandono: le compensazioni di queste emozioni saranno impulsività, gelosia e possessione. Infatti, l’ansia da separazione è sempre in agguato, determinando controllo ossessivo e pervasivo, scatti d’ira, di rabbia e di gelosia incontrollabili e a volte inspiegabili. Equilibrio e serenità sono dimensioni mai sperimentate e, quindi, non sono riconosciute né tantomeno accostate all’amore: la relazione non è quello, ma drammaticità, passionalità, affetto travolgente.

 

L’influenza della sfera familiare

Le circostanze genitoriali determinanti tale condizione possono essere varie, come fratelli nati in un breve periodo di tempo, difficoltà nella coppia genitoriale, stress, lutti, divorzi… Insomma, qualsiasi situazione che possa aver influito sulla sicurezza del bambino, che tenderà a sviluppare tensione in ogni situazione che minacci anche lontanamente ed idealmente un abbandono, anche in età adulta. Questo perché, come descrivo più approfonditamente in questo articolo (Come dimenticare una persona), da adulti reagiamo alle separazioni allo stesso modo di quando eravamo bambini: si attivano dei pattern emotivi automatici che non possiamo controllare e, almeno inizialmente, capire. Rispondiamo, quindi, tutti in modo diverso ed è soprattutto chi ha una storia di attaccamento problematica a sperimentare conseguenze difficoltose nelle relazioni, in quanto si riattivano memorie irrisolte, inerenti esperienze con la figura di attaccamento.

Fulcro della dipendenza affettiva è la disregolazione emotiva, sempre dovuta allo stile di attaccamento, che significa provare emozioni sempre e solo in modo estremo, situazioni spesso accompagnate da comportamenti impulsivi, anche pericolosi. Per questo motivo, uno degli obiettivi della terapia è il costruire consapevolezza emotiva, indispensabile per direzionare la vita nel modo più consono in quanto ci aiuta a riconoscere le nostre emozioni e quelle degli altri; a valutare i contesti nei quali viviamo, la relazione tra di essi, tra essi ed i pensieri e le azioni; a riconoscere i nostri automatismi ed eventualmente rivalutarli; è utile nel fronteggiare lo stress (ne parlo nell’articolo Chiamale se vuoi emozioni).

 

Il partner “ideale”.

Nel mondo del dipendente affettivo, tutto sembra ruotare attorno alla paura di perdere la persona amata: si può arrivare a rovinarsi la vita per riuscire ad ottenere una sicurezza, solo apparente e sicuramente fugace. Questa spasmodica ricerca porta il dipendente affettivo ad incappare in una tipologia di partner complementare, una persona che si incastra perfettamente con le sue esigenze: quella con tratti narcisistici di personalità.

Apparentemente sicura di sé, con relazionalità evitante, capace di far vivere vere e proprie montagne russe emotive, con picchi altissimi di idealizzazione e bassissimi di svalutazione, questa persona ottimamente collude con quella dipendente: avendo sviluppato un modello del sé come persona non amabile, intrinsecamente pensa di dover cavarsela sempre senza gli altri, non aspettandosi nulla dal prossimo, corteggiando compulsivamente senza mai sviluppare legami autentici, scappando non appena si sente un qualcosa in più, rincorrendo l’autonomia per non incappare nel rischio del rifiuto. L’evitamento è alla base di ogni relazione, impedendo così un autentico coinvolgimento, essendo che il legame di coppia viene vissuto come una minaccia alla propria autonomia.

Apro una breve parentesi sulla questione: il narcisista viene ormai popolarmente visto come maligno, manipolatore, freddo, sorvolando sull’elevato livello di sofferenza che prova. Non dobbiamo dimenticare, invece, che questi tratti sono stati sviluppati come difese, incanalate a proteggere un sé fragile e sofferente, mascherato sotto la scorza dura che mostra al mondo e che non permettono di relazionarsi autenticamente con l’altro.

 

Quando l’amore diventa morboso e si ha paura di perdere una persona.

Possiamo dire che il nucleo del narcisista è simile a quello del dipendente: in entrambi ne fa da padrone il vuoto interiore, costante ed incolmabile, che impedisce di entrare autenticamente in relazione, dato che le energie sono ampiamente impegnate a colmarlo in modo difensivo. Il narcisista colma il vuoto idealizzando e svalutando, il dipendente cercando approvazione e riconoscimento. Si crea così quello che in molti definiscono “amore morboso” dove il dipendente affettivo si sente costantemente all’erta, mai in equilibrio e mai davvero in contatto con i bisogni primari di riconoscimento, accoglienza ed amore. Questi bisogni vengono messi in secondo piano, concentrandosi più su quelli dell’altro, poiché si è in preda alla paura di perderlo. Così, il narcisista tenderà ad allontanarsi sempre di più, sentendosi sicuro dell’altro ma invaso, attaccato, mentre il dipendente sarà portato a chiedere sempre più rassicurazioni, non sentendosi mai adeguatamente amato.

Entrambi, in questo modo, avranno conferma del proprio inconscio modello mentale di attaccamento: il dipendente che non è degno di essere amato per quello che è, ma che deve costantemente soddisfare l’altro; il narcisista che la freddezza ed il non riconoscimento emotivo che ha avuto da piccolo sono le modalità con le quali mantenere le relazioni. Seppur tragico e a livello razionale illogico, spesso ci ritroviamo incastrati in queste dinamiche perché le nostre reti cerebrali sono strutturate per trovare coerenza e conferme dei propri schemi, portandoci in relazioni disfunzionali e sofferenti ma che soddisfano le aspettative inconsce del nostro modello di attaccamento.

Se si pensa di non essere amabile, si troverà un compagno che confermerà questo o, nei casi più gravi, si arriverà persino a distorcere le informazioni della realtà per trovare conferma del proprio pensiero, avverando la propria “profezia”.

 

C’è una terapia giusta per curare la dipendenza affettiva?

I modelli disfunzionali di attaccamento sono propri di quasi tutte le psicoterapie: anche in questo caso saranno oggetto primario di analisi e lavoro. Essendo ogni dipendenza diversa da un’altra, il primo step della consulenza sarà quello di inquadrare al meglio il caso: ogni situazione è a sé. Quanto ho scritto e mi accingo a scrivere non può che essere una descrizione generale di quello che spesso succede, dato che le sfaccettature di ogni incastro sono sempre differenti in quanto uniche, come ogni persona.

Personalmente, ritengo ottimale partire dai bisogni e dalle aspettative della persona: spesso è già lì che si riscontrano problematiche da sistemare. Infatti, se l’aspettativa è che il proprio partner passato, attuale o futuro, colmerà il vuoto che si sente, le mancanze che si hanno, l’insicurezza che pervade, sarà impossibile sviluppare una relazione sana.

Insegnare le competenze emotive, come prima ho accennato, è uno dei punti fondamentali in questi percorsi terapeutici, per prevenire ricadute e per sviluppare un senso di sé più maturo, consapevole ed integrato. Per fare questo, è spesso anche utile ricorrere ad una vera e propria psicoeducazione rispetto ai modelli di amore sano contro quello patologico. Capita di sovente, infatti, che le persone coinvolte in amori tossici hanno alla base una concezione di relazione disfunzionale, legata alla propria storia e alla cultura familiare nella quale sono cresciute. Per questo motivo è importantissimo educare ad una relazionalità sana, nella quale vi è fiducia, rispetto, comunicazione, condivisione, crescita personale ed individuale di entrambi i partner, felicità e appagamento. Il contrario di una relazione insana dove vige possessione, gelosia, manipolazione, mancanza di rispetto, sofferenza, umiliazione, volontà e/o speranza di cambiare l’altro, mancanza di crescita. C’è una frase molto bella di Fromm che descrive perfettamente la differenza tra i due: “L’amore infantile segue il principio ‘amo perché sono amato’. L’amore maturo segue il principio ‘sono amato perché amo’. L’amore immaturo dice ‘ti amo perché ho bisogno di te’. L’amore maturo dice ‘ho bisogno di te perché ti amo’. Ciò che la gente definisce amore è per lo più un abuso del termine, volto a nascondere la realtà della loro incapacità ad amare.

 

Quando l’ex diventa un’ossessione… 

 La maggior parte delle volte, in terapia arrivano le persone “al limite”, quelle che non riescono a togliersi dalla testa il proprio ex, che diventa o è già diventato una vera e propria ossessione. In questi casi si lavora sull’emergenza, facendo molta più fatica: la situazione ottimale sarebbe, al solito, prevenire anziché curare!

Come prima, se stai leggendo questo articolo, significa che sei interessato alla questione e che, quindi, hai dubbi sul modo in cui ti approcci alle relazioni. Allora, ecco delle altre domande per te:

  • Chi sono al di fuori della relazione?
  • Chi ero prima di intraprenderla?
  • Quali sono le aspettative con le quali vivo le nuove frequentazioni?
  • Cosa cerco nel partner?
  • Le relazioni precedenti che ho avuto mi hanno insegnato qualcosa?
  • E se non ne ho mai avute: come mai?
  • Cosa mi spaventa?

Non è facile rispondere a queste domande, in quanto siamo abilissimi a “raccontarcela” ossia a razionalizzare le situazioni che ci fanno più male, quelle che ci espongono alle nostre fragilità. In questo la psicoterapia aiuta tantissimo, avere un professionista fidato e competente che ci guidi nei meandri della nostra relazionalità è oro.

 

Il sostegno psicologico può aiutare a superare la dipendenza affettiva?        

Riassumendo, come per ogni dipendenza, se non ci si riconosce veramente in essa non si può procedere adeguatamente verso il miglioramento: riconoscersi significa accettare di averla, valutare le conseguenze di essa e impegnarsi nel processo di cambiamento. Comprendere il proprio contributo nella situazione è il passo fondamentale per poter iniziare un percorso: l’unico intervento possibile, infatti, è su sé stessi. Dopo aver compreso a fondo il nucleo vero del problema, spostando il focus dall’esterno “capitano tutte a me, trovo solo partner inadeguati” all’interno “probabilmente sono alcune mie caratteristiche ad impostare le relazioni nel modo sbagliato” si può ragionare sugli obiettivi terapeutici che, al di là del risolvere le sofferenze del presente e del quotidiano, si concentrano sull’affrontare le esperienze infantili precoci che hanno determinato lo stato attuale, solitamente legate a vissuti di abbandono e a mancanza di comprensione empatica della propria esperienza emotiva da parte dei caregiver primati. Sono queste, infatti, le tematiche più frequenti che si riscontrano in questa tipologia di pazienti, alla base delle convinzioni intrinseche e a volte inconsapevoli di essere inadeguati, di non essere amabili, proprie di chi soffre di dipendenza affettiva. In ogni terapia, la storia familiare ed individuale del paziente è un elemento prezioso da indagare per comprendere a fondo le modalità con il quale si rapporta a sé, agli altri, al mondo.

Obiettivo ultimo, quindi, sarà di riportare il centro della vita del paziente all’interno di sé, sviluppando comprensione delle proprie dinamiche interne, dei propri bisogni, della propria emotività e valore. Partendo da questi presupposti, sarà poi possibile strutturare una relazione sentimentale adeguata, in grado di dare e ricevere amore, in grado di sopportare la quota di dipendenza che è insita in ogni relazione, che è sana, adeguata e necessaria.

In alcuni casi, può essere d’aiuto anche la terapia di gruppo, integrando l’intervento singolo o sostituendolo del tutto con questo strumento prezioso, che aiuta a confrontarsi con persone dalle storie simili, a condividere ed elaborare la propria storia, apprendendo anche da quella degli altri.

Ricordo che non ci innamoriamo mai per caso: a livello conscio non ce ne accorgiamo, le persone di cui ci siamo innamorati possono essere molto diverse tra loro, a primo acchito. Ma ad uno sguardo più profondo, troveremo di sicuro qualcosa di simile, che sia tra le persone in questione o nella dinamica di coppia. C’è chi dice che sono gli inconsci ad innamorarsi, addirittura! (Ne parlo nel mio articolo Come dimenticare una persona). E, quindi, è solo attraverso il lavoro su di sé che si potrà raggiungere una soddisfacente ed equilibrata vita di coppia. Se vuoi fissare un incontro per affrontare insieme questa tematica o altre, contattami pure qui.