21 Giu Il disturbo di personalità evitante
Il disturbo evitante di personalità (DEP), come spesso accade per altri disturbi di personalità, viene percepito negativamente dalla società, poiché ci si ferma alla valutazione superficiale delle sue manifestazioni, senza soffermarsi sulla sofferenza che le ha causate.
Con disturbo di personalità intendiamo un “pattern permanente di esperienze interne (pensieri, sentimenti ed emozioni) e comportamenti che sono marcatamente differenti da quelli definiti dalla propria cultura, pervasivo e inflessibile, ed emerge in adolescenza o nella prima età adulta. È stabile nel tempo e conduce a sofferenza o disabilità.”[1]
Partiamo da caratteristiche e sintomi.
Il soggetto con DEP viene percepito come distante, disinteressato, freddo, strambo in quanto si ritira dalla vita sociale preferendo all’apparenza la solitudine alla compagnia. Tuttavia, non si tratta di una vera preferenza ma di un ritiro messo in atto per evitare la possibilità di ricevere commenti su di sé. La persona con DEP, infatti sperimenta costantemente un profondo senso di inadeguatezza, ha radicata in sé la convinzione di non valere niente, di non essere all’altezza del mondo. È, perciò, altamente sensibile ad ogni tipo di critica o di esclusione e si ritira proprio per evitare di incorrere in esse.
Il pensiero che si ritira perché non interessato alle relazioni è lontanissimo dalla verità: al contrario, le persone con DEP nutrono profondi desideri di vicinanza interpersonale, ma sono eccessivamente bloccati dalle loro paure di umiliazione, inadeguatezza, giudizio per poterli perseguire in maniera soddisfacente.
Essendo, come ogni disturbo, poliedrico e dipendente dalla persona che lo manifesta, esiste un continuum che va da un estremo dove si collocano persone che non riescono ad avere alcun tipo di rapporto (che soddisfano i criteri per la diagnosi di disturbo di personalità evitante) all’altro nel quale troviamo persone che proseguono anche relazioni sentimentali, seppur con le loro difficoltà (che presentano quindi uno stile di personalità evitante o solo dei tratti di personalità evitante).
Come viene vissuto il DEP da chi lo sperimenta.
Alcune persone con DEP descrivono il loro modo di vivere come un film “vivo la vita degli altri, sono sempre attaccata ai social, invidiando gli altri e struggendomi perché non riesco a fare quello che per loro sembra così semplice… per me è più facile essere una spettatrice passiva che sottopormi all’ansia che mi viene quando sto con gli altri” così diceva una mia paziente. Altri riferiscono disagio e occhi puntati addosso nelle situazioni sociali, il che accresce ansia che rende impacciati, andando a rinforzare il pensiero di non essere adatti al sociale, di non essere capaci, di non essere interessanti, di essere diversi… E, come spesso accade, si instaura un circolo vizioso: evito le situazioni sociali perché alimentano il mio malessere, questo evitamento non mi permette di sviluppare adeguate abilità relazionali, l’assenza delle quali mi fa sentire ancora più inadeguato nelle rare volte in cui esco, andando ad accrescere la strategia disfunzionale dell’evitamento.
Questo comporta disagi in tutte le sfere della vita: dalle relazioni (evitando le interazioni sociali, possiamo immaginare perché), al posto di lavoro (un mio paziente ha rifiutato una promozione per paura che i colleghi disapprovassero, ad esempio), limitando enormemente il benessere individuale.
Si può riassumere il pensiero delle persone con DEP con questa frase, di un altro mio paziente: “vorrei tanto avere una relazione, ma il solo pensiero di poterla avere mi spaventa”.
Altra caratteristica che rende difficile alle persone con DEP instaurare relazioni interpersonali è la difficoltà a comprendere le proprie ed altrui emozioni, deficit derivato da un’assenza di apprendimento nella prima infanzia, per mancanza di rispecchiamento adeguato del/i caregiver. Lo vediamo tra poco.
Diagnosi differenziale del DEP.
Dal momento che le conseguenze del DEP portano disagi significativi, le persone che ne soffrono possono sperimentare anche elevati stati di ansia e di depressione senza averne una vera e propria diagnosi, ma come sintomi corollari. Tuttavia, spesso si ha vera e propria comorbidità con altri disturbi, soprattutto per quanto riguarda la sfera depressiva (“come si manifesta la depressione”; “come vincere la depressione ansiosa”) e quella ansiosa (“come combattere gli attacchi di panico senza farmaci”; “fobie ossessive, cosa sono e come curarle”).
Bisogna, invece, distinguere il DEP da altri disturbi con caratteristiche simili ma con prognosi e modalità di trattamento completamente diverse. Eccoli:
- Disturbo di Personalità Schizoide, nel quale il soggetto si ritira dalle relazioni ma senza provare la sofferenza insita nel dipendente. Queste persone preferiscono la solitudine, vivendo le relazioni come eccessivamente intrusive: non sono limitate dal negativo senso di sé e dalla paura del giudizio altrui.
- Disturbo di Personalità Paranoide, che presenta la stessa suscettibilità alle osservazioni degli altri, ma in quanto percepite come minacce, non giudizi negativi (come succede, invece, con l’evitante).
- Disturbo di Personalità Dipendente, caratterizzato dalla stessa difficoltà a staccarsi dalle relazioni, ma l’eziologia è diversa (ne parlo qui: “dipendenza affettiva: vediamone assieme cause e soluzioni”; “come capire di essere vittima di un narcisista: ecco perché ti stai ponendo la domanda sbagliata”).
- Fobia sociale, che si attiva solo in determinate situazioni (es. parlare in pubblico, andare ad una festa conoscendo poche persone presenti…).
Possibili cause del DEP.
Sembrerò ripetitiva ma, anche qui, la genesi del disturbo è da riportare alle cure primarie, alle relazioni di attaccamento (tra i vari articoli, ne parlo anche qui: “Come capire di essere vittima di un narcisista: ecco perché ti stai ponendo la domanda sbagliata” e “Dipendenza affettiva: vediamone insieme cause e soluzioni”).
Si ipotizza che la persona con DEP abbia sviluppato uno stile di attaccamento evitante, dovuto ad una mancata responsività dei caregiver ai bisogni emotivi del bambino che, quindi, imparerà a cavarsela autonomamente, interiorizzando, però, pensieri negativi su di sé per “salvare” il caregiver. Ossia: non è che mamma/papà/chi per esso non fosse adeguato/a, ma sono io inadeguato/a. E questo pensiero accompagnerà la vita della persona con DEP in modo incessante, con le limitazioni evidenziate prima. La letteratura scientifica mostra, inoltre, che una storia di abuso e/o rifiuto dei caregiver è strettamente correlata al disturbo, che viene poi spesso alimentata dal successivo rifiuto dei coetanei.
La personalità evitante nelle relazioni di coppia.
Come anticipato prima, esistono delle persone con tratti di personalità evitante che, quindi, riescono ad affacciarsi al mondo relazionale. Con le loro difficoltà, ovviamente. Quali sono?
Tendenzialmente, l’assecondare il/la partner per paura di essere rifiutati e/o di essere abbandonati, comportamento che può esasperare la controparte o la persona stessa, portando a scatti incontrollati d’ira quando le divergenze appaiono insormontabili.
Altra problematica che spesso si riscontra è la mancanza di fiducia: se sono portato a pensare di non andare bene a nessuno, perché dovrei andare bene al/la mia partner? Cosa mi nasconde?
Aggiungiamo la difficoltà a riconoscere le emozioni e condividerle: non avendo avuto la corretta educazione relazionale durante l’infanzia, le persone con DEP hanno difficoltà ad interfacciarsi con tutto ciò che riguarda la sfera emotiva, provocando disagio ed incomprensione non solo a sé stessi ma anche a chi entra in contatto con essi.
E quindi? Come dico sempre e come scrivo qui (”come affrontare i problemi di coppia” “come dimenticare una persona”) nelle relazioni è bene guardare sé stessi anziché il/la partner. Cosa mi fa stare con questa persona? Riconosco alcune dinamiche?
Il lavoro su di sé è l’arma più potente che abbiamo per perseguire relazioni felici. Infatti, siamo attirati da persone che richiamano le nostre esperienze primarie, gli incastri relazionali dicono più di noi che dell’altra persona.
Qualora non si riuscisse a venire a capo del problema, una visita psicoterapeutica specialistica (di coppia o individuale) è la via migliore per fare chiarezza.
Cosa fare se ci si ritrova nello stile di personalità evitante?
Il trattamento del DEP presenta le stesse caratteristiche del trattamento generico dei Disturbi di Personalità. Ciò significa che la psicoterapia è imprescindibile, alla quale si può affiancare la terapia farmacologica per contrastare i sintomi collaterali, quali quelli ansiosi e depressivi. Tale intervento risulta alle volte di estrema importanza in quanto, senza la riduzione dei sintomi, è spesso impossibile lavorare a livello psicoterapeutico. Tuttavia, sottolineo che non può essere risolutivo, in quanto non inciderà per niente sulla personalità del paziente e sui suoi modelli relazionali, vero focus dell’intervento.
Qualsiasi persona, anche che presenti solo qualche tratto evitante, può beneficiare della psicoterapia. Obiettivo di essa è comprendere le dinamiche interne alla base dell’evitamento, ristrutturarle in maniera più funzionale e, dove necessario, insegnare a riconoscere le proprie e altrui emozioni.
Anche la terapia di gruppo potrebbe essere di beneficio a questa tipologia di pazienti, per rendere possibile il confronto con gli altri in un ambiente protetto. Ovviamente, prima di essa è necessario un percorso individuale, per far sì che le prime consapevolezze siano raggiunte e per condividere con il paziente il piano terapeutico.
Se quindi ti ritrovi nei comportamenti o nelle situazioni di cui ti ho appena parlato e ti interessa iniziare un percorso di psicoterapia, ti lascio qui i miei contatti per fissare un appuntamento.
[1] Definizione del DSM 5, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.